venerdì 23 agosto 2013

"Il limbo visto da vicino" di Julio Cesar Monteiro Martins

Pubblichiamo, per gentile concessione del Prof. Julio Monteiro Martins, una nota letteraria relativa agli stereotipi sul Brasile in Europa: riflessioni scritte nel 1995 ma con una forza e una poeticità che le rende eternamente attuali.
Julio Monteiro Martins, nativo di Niterói (Rio de Janeiro) dal 1996 insegna all’università di  Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Lucca

IL LIMBO VISTO DA VICINO

“... e chi viene da un altro sogno felice di città
 impara presto a chiamarti realtà
perché sei il rovescio del rovescio
del rovescio del rovescio”
Caetano Veloso

È così che mi vedo: un cronista del limbo. Attorno a me, da sempre, non una di quelle città-giocattolo dove agli scrittori piace annidarsi nella loro fase matura, ma una città vera, terribile, divoratrice, superpopolata ; l’anti-utopia del millennio che finisce. Un parco divertimenti assediato da un parco di atrocità. Una grande città brasiliana.

Sono il cronista di un limbo, da dove nessuno porta notizie - territorio senza definizione, più che dimenticato nemmeno concettualizzato, dove vanno i senza nome, spazzati via dalla memoria colletiva dell’occidente, quelli che “non esistono” a migliaia. Si tratta di un miraggio al rovescio ; l’inquinato immaginario dell’Europa di oggi fa spazio alla fantasia di un Brasile caricato di virtù rurale, di dolce spensieratezza sulle spiagge, di alberi da banano in fiore al centro del festival del colore. E sono colori vivaci, addirittura sgargianti, come le tonalità del verde e giallo della frutta in un mercato. Mai come il rosso-sangue dei cadaveri che albeggiano in strane posizioni sul cemento crepato dei marciapiedi. Mai il verde umido che ricopre le pareti dei palazzi di cemento nel paesaggio penitenziario dove sopravviviamo: cartolina di una morte prossima.

Da dove proviene il senso di sconforto causato dalle dure parole delle “cronache del limbo” ?
Nasce in primo luogo perchè, là dove ogni vita è a uno stadio critico e ogni situazione è una situazione limite, si sa molto dell’uomo, forse più di quanto convenga sapere. E non si tratta di un “altro uomo”, ma dello stesso uomo che si incontra ovunque. È a Rio o a San Paolo che l’Europa ha rivelato i suoi segreti perchè è lì che ha peccato e continua a peccare. Per l’Europa, il circo delle moltitudini in estasi o disperazione, a Niterói, a Brasília o a Vitória, non è tanto un limbo, quanto un purgatorio segreto. I bordi dell’Europa, l’America Latina e l’Est europeo, sono i suoi specchi, dove lei, contrariata, si vede senza trucco, sotto il fascio di una luce cruda. Le moltitudini brasiliane sono il finale di un certo valzer ballato nella penombra.

Non è più possibile che le tematiche filosofiche, metafisiche, psicologiche, esistenziali e ideologiche continuino ad essere in letteratura un prerogativa esclusiva dei paesi ricchi quando, da tempo oramai, non lo sono più nella vita. La condizione umana è messa alla prova nello stesso modo a Belo Horizonte o a Bruxelles, a Curitiba o a Los Angeles, quando è confrontata con le relazioni in crisi, con la mancanza di senso, con le prospettive di una morte precoce, con lo schiacciamento dell’identità o con l’assedio implacabile dello spirito da parte dei media. La povertà, il rumore e la violenza delle megalopoli tropicali smascherano o aggravano appena i problemi che oggigiorno sono gli stessi ovunque ci troviamo.

Le opere che rappresentano quel mondo non sono opere esotiche, ma stranamente familiari.

Sono il volto sfigurato, eppure ancora riconoscibile, di un vicino parente. E negare, per scomodità o codardia intellettuale, l’esistenza e la potenza di queste opere è lo stesso che tentare di fuggire inutilmente da un pianeta che si è evoluto in una direzione indesiderata.

C’è ancora un’altra questione: ai paesi del mio continente sono state imposte le monocolture, come quella della canna da zucchero, del cotone, del caffè, della banana e della gomma. La regione poteva produrre soltanto ciò che interessava all’Europa in quel momento, e dall’Europa sarebbe dipesa per tutto il resto. La monocoltura è stata l’imposizione di una strategia della miseria.

Ma fino a che punto questo atteggiamento mentale colonialista si è modificato ? Abbiamo oggi un sottoprodotto di quei tempi di frusta e catene, che è la monocoltura della cultura. Gli scrittori dell’America tropicale devono scrivere di un certo continente desiderato dalla fantasia europea, fornire il prodotto immaginario che oggi interessi all’Europa, che apra le finestre nel sogno, che inviti all’evasione e ai sapori e odori di eccessi affascinanti, di un cosmetico sempre diverso per il mondo che chiamiamo “esotismo”. È questa l’origine del successo del “realismo magico e maraviglioso”, della lotta politica dei guerriglieri edulcorata, ridotta ad un “cappa e spada”, delle nuvole di farfalle, dei tiranni lacrimosi, e delle mulatte dalle labbra di miele e dai sudori al gelsomino che viaggiano verso l’Emisfero Nord tutti i giorni, imballate in containers astratti, in cambio di rimesse occasionali in marchi, franchi o lire, viaggiando fianco a fianco a containers concreti, pieni di balle di cotone, sacchi di caffè o pezzi di automobili.
In questo nostro nuovo mondo del tempo libero e dei servizi, del consumo culturale su larga scala, la fantasia è diventata un prodotto nobile, una spezia della post-modernità. La cultura della monocoltura si fa sentire ancora una volta: - noi compriamo quello che è diverso da ciò che abbiamo qui, e che sia abbastanza curioso da intrattenerci e sedurci, per aiutarci ad ingannare allegramente il tedio, il resto non ci interessa, non vogliamo comprarlo, né vogliamo saperne niente, confermando così che l’immaginario mondiale, con le sue “fazende” di idee ed immagini, è soggetto alle stesse leggi implacabili del mercato, ed è nello stesso mercato che, purtroppo, cerca la sua definizione e le sue vie di sviluppo.

Ma anche la verità ha la sua forza. È come un polline ricolmo di semi, soffiato da molti venti, ribelle alla monocoltura pianificata, e che germina dove vuole. Ed è solito germinare molto e bene. La reale vita brasiliana produce per lo meno da quattro decadi una letteratura profonda, enigmatica, brutale e sublime come la vita. Produce i suoi “cronisti dal limbo”, un universo letterario spaventoso, dove l’uomo appare al meglio e al peggio di se stesso, dove i suoi atti e gesti sono epifanie che emanano dalla sua essenza, così come dal tessuto umano sciupato, consumato, strappato da forze che ignora. Porta nelle sue mani le viscere che offre al secolo, senza sapere che nessuno le riceverà, che nessuno è disposto a guardarle.

È per questo che gli scrittori del Brasile urbano di oggi sono tutti martiri oscuri della letteratura, al servizio della più incomoda delle verità. Si perdono tra gli uomini più persi. Dicono quello che il resto del mondo ha paura di sentire. Vivono torturati dalla propria sensibilità, loro ferramenta di lavoro, e muoiono come vivono, descrivendo le sensazioni estreme del limbo.
Sì signori, siamo noi che disegnamo il volto più autentico di questo fine secolo, in tanti, testardi libri. Siamo noi gli operai della parola. Costruiamo una letteratura irrefutabile, dove gli uomini che in lei non si riconoscono avranno l’opportunità preziosa di conoscersi. Noi siamo venuti da dove meno ci si sarebbe aspettato, per mostrare che il nostro limbo, signori, è un esuberante mistura di inferno e paradiso finora mantenuto a distanza dagli occhi e dal cuore degli uomini.


Lucca, novembre 1995

Julio Cesar Monteiro Martins



Julio Monteiro Martins nasce nel 1955 a Niterói, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa allo International Writing Program della University of Iowa (USA), ricevendo il titolo di Honorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). 
Continua poi l’insegnamento presso la Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, presso l’Instituto Camões di Lisbona (1994) e presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (1995). Dal 1996 insegna all’università di Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Lucca. È fondatore e direttore della rivista culturale Sagarana (www.sagarana.net). 
All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. Nel 1983 è uno dei fondatori del del Partido Verde brasiliano, e successivamente, nel 1986, del movimento ambientalista brasiliano “Os verdes”. Nel 1991, avendo affrontato studi universitari di indirizzo giuridico, è avvocato dei diritti umani per il Centro Brasileiro de Defesa dos Direitos da Criança e do Adolescente (ONG), occupandosi in particolare dell’incolumità dei meninos de rua chiamati a testimoniare in tribunale, in seguito all’orrenda strage della Chacina da Candelária, nella quale una squadra di poliziotti in borghese uccise nel sonno a colpi di mitra bambini abbandonati che dormivano in strada a Rio de Janeiro.
La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Di seguito i principali titoli.
In portoghese: Torpalium (racconti, Ática, São Paulo, 1977), Sabe quem dançou? (racconti, Codecri, Rio, 1978) Artérias e becos (romanzo, Summus, São Paulo, 1978), Bárbara (romanzo, Codecri, Rio, 1979), A oeste de nada (racconti, Civilização Brasileira, Rio, 1981), As forças desarmadas (racconti, Anima, Rio, 1983), O livro das Diretas (saggi politici, Anima, Rio, 1984), Muamba (racconti, Anima, Rio, 1985) e O espaço imaginário (romanzo, Anima, Rio, 1987); suoi lavori sono inoltre apparsi in numerose antologie. 

In italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998), Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ), Madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L'amore scritto (racconti, Besa, Lecce, 2007); ricordiamo infine la partecipazione, assieme ad Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo, all’opera collettiva Non siamo in vendita – voci contro il regime (a cura di Stefania Scateni e Beppe Sebaste, prefazione di Furio Colombo, Arcana Libri / L'Unità, Roma, 2002). 
Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua opera Un mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace, per la Libertà edizioni, di Lucca.